26/01/09

Ancora una poesia di Kjell Espmark

Ho già parlato, in un altro post del simpatico Kjell Espmark, poeta, romanziere nonché professore di letteratura comparata all'Università di Stoccolma e membro dell'Accademia di Svezia e presidente della commissione del Premio Nobel. Alcune sue poesie sono tradotte in svedese da Enrico Tiozzo. Questa poesi parla per sé, inutile aggiungere altro:

A FIANCO DEL SUO BANCO C'È IL BANCO

Lei ascolta con tutto il corpo.
Le labbra dell'insegnante si muovono. E lei sente
ma manca tuttavia le sue parole di qualche millimetro
come quando si cerca di prendere una pietra nell'acqua.
C'è un altro mondo, a un palmo di distanza dal suo.
Proprio vicino all carta della Svezia
pende una carta sulla Svezia -
stesse città e stessi lembi di laghi
stessi campi gialli e verdi
eppure un regno irraggiungibile che risplende.
Adesso discutono, si muovono le bocche.
Certo lei sente. Ma ciò che si dice veramente
passa scoppiettando oltre le sue orecchie
verso chi abita nel paese giusto.

Eppure li può catturare nella pausa
quando raffreddata racconta come presero il padre
che lottava, tirato in ogni direzione.
E la madre che cercava di nascondersi tra le mani.
Tutto viene venduto per venti risate cianciate.
Racconta a gambe aperte, con le calze calate.

Ma nulla viene tolto ala suo successo.
Quando poi prende posto nella loro conversazione
incontra quel diaframma sottile
che separa il mondo dal mondo
e quel sorriso che fà così male
perché è fatto per non essere notato.
Se potesse infiltrarsi nella loro Svezia
e cautamente sedersi in mezzo a loro
allora la sedia non diventerebbe una sedia
e lei stessa non diventerebbe reale?
Un passo a lato, non servirebbe di più.
Ma non trova neanche una parola per quel passo.
E la classe sa: lei non la troverà mai.
La lingua tra queste quattro mura
sente la sua vita che verrà.
Lei può lottare fino a smembrarsi tirata in ogni direzione.
In questa grammatica gentilmente inflessibile
ciascuno ha il suo posto finale.

Da L'ALTRA VITA, Edizione del Leone 2003. ISBN 88-7314-071-8


01/01/09

Ricostruirsi

Ultimamente ho pensato molto alla morte, alle malattie mortali, ai fantasmi, alle vicende soprannaturali e altro del genere, non so perché e non posso dire che queste cose mi diano fastidio, mi fanno incuriosire. Solo qualche giorno fa me ne sono accorta, in un forum a cui sono iscritta, di un saluto da una persona, morta mesi fa. Chissà, forse sto attraversando un periodo nel quale mi collego più facilmente con quelli che ci si trovano dall'altra parte, aspetto con ansia cosa succederà domani e dopodomani. Oggi è il primo giorno del nuovo anno e pensavo che fosse ora di cambiare qualcosa, di ricominciare da zero, di ricostruirsi in qualche modo (non so ancora quale) e mi è venuta in mente una poesia di Edith Södergran, poetessa finlandese di lingua svedese. In svedese la poesia si chiama Min framtid - Il mio futuro. Purtroppo non so chi l'abbia tradotto in italiano. Cominciavo a cercare informazione su lei e le sue opere e ho saputo che proprio oggi, cento anni fa, il primo gennaio del 1909 ebbe la diagnosi, tubercolosi. Edith, ovunque tu sia ti ringrazio per le bellissime poesie che ci hai regalato, mi hai fatto riflettere più di una volta!

Il mio futuro

Un capriccioso attimo
mi rubò il futuro,
messo insieme per caso.
Io lo costruirò molto più bello
come lo pensavo al principio.
Io lo costruirò sul quel solido suolo
che si chiama la mia volontà.
Io l'alzerò sui pilastri alti
che si chiamano i miei ideali.
Io lo costruirò con un passaggio segreto
che si chiama la mia anima.
Io lo costruirò con una torre alta
che si chiama solitudine.

Edith Södergran
La terra che non è, 1919